SAN VITO LO CAPO
23 agosto – 4 settembre: «San Vito Jazz Festival ’94»

Sulla punta della punta dell’Italia c’è un posto meraviglioso dove si fa del jazz. Si chiama San Vito Lo Capo, e per raggiungerlo occorre inoltrarsi in terre vergini, quali a stento si immagina possano esistere nel nostro paese. Occorre raggiungere Palermo e proseguire verso ovest, costeggiando il Golfo di Castellammare. A un certo punto la strada costiera non c’è più: solo un mare stupendo e rocce disabitate. Allora si va verso l’interno, in direzione Trapani, e dopo un po’ si trova una stradicciola che, snodandosi in un paesaggio lunare e desertico, raggiunge Capo San Vito, che chiude il golfo.
L’aria che vi si respira è africana: palme, sole e cous cous. La cittadina ha molti begli alberghi, un gelataio ogni dieci passi, e un panorama spettacolare di acqua e rocce.
In questo paradiso viveva, due anni fa, un ragazzo di ventisette anni, promettente musicista di jazz: Roberto Peraino. È per tenerne vivo il ricordo che il fratello Dario e altri amici hanno voluto dar vita al festival.
Nato in sordina l’anno scorso, tra i mille inciampi dell’inesperienza, San Vito Jazz Festival si avvia a diventare un punto di riferimento nel calendario del jazz italiano. Il direttore artistico è Mimmo Cafiero, batterista incisivo e persona squisita, che ha la capacità – rara ovunque, rarissima in Sicilia – di avere solo amici tra i musicisti, e di riuscire sempre a chiamarli a raccolta, quando vi sia una causa meritoria.
Il jazz italiano, e soprattutto siciliano, la fa da padrone, come è giusto: dei pochi stranieri ospitati (a parte gli «italianizzati», come Marc Abrams) si fa presto a riferire. Anzitutto il duo Noa-Gil Dor, la cui musica garbata ma epidermica è stata ascoltata anche altrove; poi un giovanissimo chitarrista americano, Kurt Rosenwinkel, che suona in modo ancora non molto originale, ma sciolto e brillante; la cantante Joan Cartwright, una signora di colore dai mezzi vocali non certo virtuosistici ma dall’energia contagiosa; e infine un vecchio amico dell’|talia, Dusko Gojkovic, che ha fatto da chioccia a un gruppo di allievi dei seminari.
Già, perché a San Vito si tengono anche seminari, che quest’anno hanno assommato una settantina di iscritti: con record per il corso di canto, dove Cinzia Spata è stata seguita fin laggiù da un manipolo di sue fedelissime. Gli altri docenti erano Marco Tamburini, Maurizio Caldura, Salvatore Bonafede, Ramberto Ciammarughi, Paolino Dalla Porta, Dario Deidda, Paolo Damiani, Ettore Fioravanti. Una spaziosa scuola media ha accolto gli studenti, e qualcuno di loro si è anche esibito, con il maestro, su uno dei palchi disposti qua e là.
Chi non sia siciliano non immagina quanti musicisti di valore siano attivi nell’isola. Chi scrive ha potuto seguire solo una minima parte dei concerti: ma ha potuto comunque ascoltare e apprezzare elementi come Nicola Giammarinaro (sax e clarinetto), Orazio Maugeri (anche lui sassofonista), il bassista Riccardo Lo Bue, il rientrato (dagli Usa) Salvatore Bonafede e i suoi colleghi meno noti Mario Bellavista e Giovanni Mazzarino; e chiedo scusa a tutti gli altri, molti dei quali di sorprendente bravura.
Il fatto che la scena siciliana sia così ricca, e raramente se ne abbia sentore all’esterno, dà ragione alla scelta di Mimmo Cafiero di fare di San Vito Lo Capo una vetrina dei talenti locali e un luogo di incontro tra questi e i più noti jazzisti italiani (oltre ai già citati, c’erano Stefano Battaglia, Roberto Bonati, Lanfranco Malaguti, Francesco Marini, Antonello Salis, Gegè Telesforo e altri). E per il futuro, la prospettiva è di dare alla rassegna un profilo ancora più alto.

Marcello Piras – Musica Jazz